Alvito Castle
Provincia di Frosinone Lazio Italy
castle, chateau
Castello Cantelmo (Alvito)
Provincia di Frosinone Lazio Italy
castle, chateau
Alvito, an ancient village of Samnite origin, according to historians, rises from the ruins of old Cominium, founded by the Romans approximately in 291 B
Il castello Cantelmo di Alvito è un'antica fortezza della valle di Comino, territorio della provincia di Frosinone al confine con l'Abruzzo e il Molise
Previous names
Alvito Castle, Castello Cantelmo (Alvito)
Description
Alvito, an ancient village of Samnite origin, according to historians, rises from the ruins of old Cominium, founded by the Romans approximately in 291 B.C.. After the decline of the Roman Empire, it was devastated by the Lombards first, and by Federico Barbarossa’s armed forces then. Up till now, at the foot of the hill, stands the typical village of Alvito. On top of the hill, Cantelmo’s Castle towers above the town, as a symbol of the past civilization. Unfortunately, today we can see only the remains of the castle, towers and walls that still reveal how architecture was at that time, armorial bearings and emblems that can hardly represent the greatness and majesty of the manor-house that belonged to Cantelmos, a noble powerful family related to the Royal Family of Aragon. This family was so great and powerful, it owned such immense wealth that it had its own Mint in Sora, where they minted a coin, the “Silver Bolognino”, with Cantelmo’s coat of arms, known and exchanged around Italy. Cantelmo’s feud reached the territories of Sora, Vicalvi and Atina. Around the early 16th century, Alvito knew its maximum magnificence, being dwelled by 10,000 souls and becoming the administrative center of Comino Valley. When the Cantelmo dynasty started to decay, even the village of Alvito started a slow and constant decline, that generated a series of battles, conquests and destructions. Nowadays, all we have left of the castle is impressive remains of towers and retaining walls. The first core of the castle was built at the end of the 11th century by the Counts if Marsi, of Lombard descent, when by the slopes of Mt. Albeto there already were human settlements. By the end of the 12th century, CIVITAS SANCTI URBANI, a “Cassinian” possession born before the year one thousand around St. Urbano Church east of Mt. Albeto, by the hill called CIVITA’S, slowly started depopulating. Part of the population settled around the castle, in what would have become the CITTADELLA, surrounded by its walls with three doors. Another part settled by the underlying slope of Mt. Albeto, helping the start of those inhabited spots, close to a church, that would have characterized Comino Valley. The medieval castle, as we see it today, is what remains of the rebuilding after the earthquake that caused many damages to the strong walls in 1349. The rebuilding took place immediately, in 1350, thanks to Rostaino Cantelmo, whose great-great-grandparents had come to Italy after Charles d’Angiò. Cantelmo entered into possession of the castle because he was related to the previous Lords, the Counts of Aquino, who died under the ruins of the earthquake of 1349. Subsequently Rostaino Cantelmo extended the castle walls towards east and west until the valley adding several doors, near the towns of Peschio and Alvito. At night and in case of siege, the doors were closed to protect the inhabited centers. The only thing remained of the castle built in 1350 is the following inscription on the scroll upon the armorial bearing on the court door of the castle: “When for an earthquake there was general danger in several parts of the kingdom, these aged walls collapsing remained entirely settled down in the ground. But Rostaino, that noble man of the eminent and old Cantelmi family, repaired it in better and made a new castle with new walls and now keeping untamed his faithfulness, he makes it not less renowned and assures it the cry of that fable far in time. While the army of the king of Hungary had invaded the kingdom he, without forgiving or spending, made openly honor to what he had honestly promised, for many merits the king and the queen gave him this castle, empty at that time for the death of Atenulfo. If you’ll search for the year 1300 you’ll add 50 when the year of the jubilee kept open the doors of the sky for all the Christians, if you’ll ask the maker, get the name of Landulfo.” http://www.lookatlazio.it
Il castello Cantelmo di Alvito è un'antica fortezza della valle di Comino, territorio della provincia di Frosinone al confine con l'Abruzzo e il Molise. È posto sulla cima di un colle sovrastante la piana d'Alvito, che si sviluppa in direzione nord-est sud-ovest, dove è ubicato anche l'abitato di Castello, frazione intramoenia di Alvito e centro di fondazione dell'attuale città, uno dei primitivi abitati sorti dopo il disfacimento della benedettina Civita di Sant'Urbano. Dagli anni novanta è di proprietà del Comune di Alvito, che sta provvedendo a ricostruirlo nelle parti andate, col tempo, distrutte, e a riconsolidare quanto rimasto, per promuovervi incontri culturali e manifestazioni sociali. È anche conosciuto col nome di "castello di Alvito", benché amministrativamente si indichi in tal senso l'intera frazione alvitana in cui è sito il maniero. La città di Alvito è strutturata su più livelli, lungo una delle propaggini meridionali del monte Morrone, su di una cima minore conosciuta un tempo come monte de Albeto o Serra de Albeto. L'attuale assetto urbano è il risultato di un insediamento progressivo e diffuso, iniziato nell'XI secolo, che interessò tutto il territorio della città di Sant'Urbano, un antico centro amministrativo cominese, fondato dall'abate Aligerno di Montecassino nel 976, là dove oggi una contrada è detta Colle della Civita. Nello stesso luogo esisteva già una Civita Sancti Urbani, che fu probabilmente distrutta dai Saraceni sulla fine del IX secolo, quando con i loro eserciti saccheggiarono e devastarono la Terra di San Benedetto, e Aligerno, passato il pericolo arabo, s'interessò della sua riedificazione, commissionando in loco la costruzione di un castello. L'opera si inseriva nel piano di riappropriazione territoriale della Terra di San Benedetto, portato avanti dall'abate, che aveva diretto il ritorno dell'abbazia nella sua naturale sede cassinate dopo il cosiddetto «esilio di Teano». Alcuni nobili di Vicalvi ottennero il permesso di costruire la fortificazione, su un colle presso la strada che dalla Valcomino, per Pescasseroli, portava negli Abruzzi; l'opera si inseriva in un sistema di interventi territoriali frequenti nella Terra di San Benedetto, successivi alle invasioni dei Saraceni. Così fu pianificato anche un insediamento di coloni, come già altrove nel Lazio meridionale, secondo il sistema produttivo delle curtes, l'antica base sociale ed economia della Terra di San Benedetto. La nuova fondazione però non assicurò vita duratura al borgo: a causa dell'incremento demografico che si verificò nell'area alla fine dell'XI secolo il centro fu presto abbandonato, perché il castello non riuscì mai ad integrare la realtà urbana nello spazio agricolo circostante, e gli abitanti si insediarono stabilmente nelle località dove erano concentrate le principali attività agricole del territorio, specialmente Santa Maria del Campo, Sant'Onofrio e, presso l'abitato di Alvito, La Valle. L'intervento di ricostruzione giovò comunque a Montecassino: il cenobio campano incoraggiò il ripopolamento della montagna fra l'Alto Sangro e la Terra di Lavoro, dove istituì i più importanti centri di produzione, per il sostentamento dei monaci dell'abbazia, al contempo disponendo di autonomia economica e consolidando il confine settentrionale del principato di Capua e le propaggini della diocesi di Sora nel territorio marsicano. Il primo feudo alvitano Terra di San Benedetto e Principato di Capua. Nel corso dell'XI secolo Sant'Urbano cadde definitivamente in rovina. Già dal 1096 tutto il territorio che spettava alla città si indicava ormai come pertinenza di Monte Albeto, un nuovo nome che si era imposto dopo l'invasione normanna. Ciò lascia supporre che, decaduta la città, la vita civile si svolgesse in nuovi centri sorti sulle pendici del Monte Morrone oppure che non vi fosse più nessuna fortificazione. La perdita dell'unità amministrativa cassinate rischiava di sciogliere l'organizzazione territoriale del fondo, in particolare il sistema economico che aveva per vertice i possedimenti di Montecassino e così l'abbazia provvide ad infeudare l'area ai d'Aquino. La famiglia campana, che si era insediata nella media valle del Liri, ottenne dall'abate Desiderio di Montecassino, nell'ambito di una ripianificazione territoriale della Terra Sancti Benedicti, alcuni terreni a Settefrati (Pietrafitta) e a Posta Fibreno (La Posta), in cambio di Piedimonte San Germano e per rafforzare il controllo benedettino, ebbe anche in dotazione in un nucleo di abitazioni sul Colle del Albeto, fino ad allora appartenuto alla Civita di Sant'Urbano, che gli Aquinati avrebbero dovuto possedere per una sola generazione. Costoro erano già stati tra i più convinti oppositori dei monaci benedettini, perché mal avevano tollerato l'attività politica della sede abbaziale a Cassino, finché non furono costretti a sottomettersi ai cassinati, quando alcuni abati riuscirono ad assoggettare militarmente la quasi totalità della contea di Aquino, già alla fine del X secolo. E asserviti alla causa benedettina, la nuova infeudazione alvitana costituì uno degli interventi periferici nella politica di riorganizzazione della Terra di San Benedetto e delle proprietà di confine. Tale Adenolfo d'Aquino beneficiò dei nuovi possedimenti. Egli ottenne un nucleo urbano composto da più di 120 famiglie di coloni e coi terreni che lavoravano, che avrebbe però dovuto cedere con la sua morte, senza possibilità di farne un'eredità, il primo nucleo del castello di Alvito. Sant'Urbano però, già in decadenza, perdeva anche l'unità amministrativa patrimoniale e l'incastellamento che aveva incoraggiato Desiderio fu disturbato da un nuovo fondo che ne assorbì la vitalità economica e urbana.
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