Il Castello Vecchio di Colleferro, in provincia di Roma, è un castello situato all'estremità sud/est del pianoro occupato dall'estensione urbana della città
Il Castello Vecchio di Colleferro, in provincia di Roma, è un castello situato all'estremità sud/est del pianoro occupato dall'estensione urbana della città. Non si sa la data precisa della sua costruzione ed è stato abbattuto e ricostruito numerose volte.
Storia
Più di uno storico sostiene che in origine Colleferro occupasse l’area della città volsca denominata Verrua o Verrugo, conquistata dai Romani dopo alterne vicende nel 361 a.C.
Il profilo storico del castello di Colleferro è tuttavia piuttosto limitato e il documento più antico a cui si può fare riferimento risale al 1262.
Agli inizi degli anni Ottanta, durante uno scavo per la realizzazione di un serbatoio idrico, furono rinvenuti accidentalmente materiali risalenti all’VIII secolo, che farebbero quindi supporre la presenza di un insediamento più antico su cui non si hanno notizie certe. Incerta è, inoltre, la sua attribuzione alla famiglia dei Conti di Segni: infatti lo studio di ulteriori documenti ha fatto emergere l’ipotesi sulla possibile fondazione da parte della famiglia dei Conti non del ramo di Segni, ma di quello di Poli.
Grazie inoltre alle testimonianze conservate presso gli archivi Doria Pamphili, risalenti ad un arco di tempo compreso tra il 1476 e il 1948, è noto che tra il XVIII e il XIX secolo il castello non sia appartenuto esclusivamente alla famiglia Conti ma anche ai Salviati e ai Pamphili.
Nel 1318, nell'ambito delle controversie ereditarie tra i discendenti della Famiglia Conti, troviamo una sentenza arbitrale tra Giovanni e Nicolò; i Conti scelsero, come arbitri, Stefano Colonna ed Annibaldo Annibaldi, i quali, nel 1320, emisero un lodo che stabiliva che il Castello di Colleferro fosse di proprietà di Giovanni. Quest’ultimo, a sua volta, rinunciava a dodicimila fiorini a lui dovuti da Nicolò e, in favore di questi, cedeva anche metà del castello di Pruni, nel territorio di Montelanico, alcune tenute nella Marittima e alcuni possedimenti nel comune di Cori e Ninfa.
L’esistenza del castello nel XIV secolo è convalidata anche dalle liste della tassa sul sale e sul focatico.
Nel 1363 il castello pagava un'imposta di 10 rubbia, pari ad una popolazione di 1600 abitanti; nel 1416, l'indice era di 3 rubbia e 1/3, testimonianza di una sensibile diminuzione della popolazione. Alcune fonti testimoniano che le masserizie ammassate nel castello di Colleferro, fatta eccezione per vasi, balestre ed archi, insieme alla metà del Castello di Astura e ai beni mobili di Giovanni Conti, furono assegnate a Margherita, figlia di Stefano Colonna, con una sentenza firmata dal giudice Sabba Amadei, datata 23 ottobre 1344.
Il castello, insieme a quello di Piombinara, fu distrutto nel 1431 dalle truppe di un soldato di ventura, Giacomo da Caldora, inviate dalla regina di Napoli, Giovanna II d’Angiò-Durazzo, durante la guerra che vide opposti il pontefice Eugenio IV, sostenuto anche dai Conti e dalla famiglia Colonna.
Nello stesso anno un editto di papa Eugenio IV, datato 24 settembre, impedì a Niccolò Conti di intromettersi nel restauro del castello, spettante alla Camera Apostolica, pena una multa di diecimila fiorini. All’epoca questo forte, insieme al Castello di Piombinara, aveva una funzione difensiva della Valle del Sacco, a protezione di Artena e Valmontone; soltanto nel XVII secolo si avviò il processo di trasformazione da rocca fortificata a casale di campagna.
Il primo contratto di affitto di cui si ha testimonianza scritta risale ad un'epoca relativamente recente: il 1779. Contemporaneamente venne elaborato un piano generale di ampliamento, attribuito all'architetto Francesco Rust al servizio della famiglia Salviati, infatti, tra il 1779 e 1781, vi fu la realizzazione del fienile, di un rimesso per bovi e di una cordonata (1784). Si potrebbe quindi dedurre dai precedenti dati che, almeno durante la metà del XVIII secolo, il castello appartenesse alla suddetta famiglia.
L’acquisto del complesso da parte dei Doria Pamphili nel 1804 non modificò l’utilizzazione della struttura che continuava a servire come casale e ad essere ampliata per soddisfare meglio le necessità produttive. L’architetto dei nuovi proprietari, Andrea Busiri Vici, elaborò due progetti: il primo, non realizzato, per la costruzione della “casa del guardiano” e il secondo, portato a compimento, per la sopraelevazione e la rettificazione del corpo a nord-ovest (1862-1863). Nelle descrizioni dei lavori e nelle perizie si riscontrano soprattutto variazioni nell’uso degli ambienti del complesso, che nel 1842 figuravano addirittura interamente utilizzati come depositi di grano. Nel 1852 venne finalmente riadattata la parte a sud del corpo a nord-ovest, che divenne sede dei “granari nuovi” mentre nel 1905 furono rifatte due cordonate e fu demolito il capannone nel cortile.
Dall’analisi dei documenti riguardanti questo periodo si sa che le terre del castello vennero progressivamente vendute, prima alle ferrovie e poi al nascente complesso urbano-industriale, mentre il fabbricato venne sottratto anche a quell’uso agricolo a cui si era adattato. Così si avvia una fase di progressivo declino, culminante con i danni subiti a causa del terremoto nel 1915. Nel 1918 Carlo Busiri Vici redasse il rilievo del castello con le piante dei tre piani e delle coperture e i quattro prospetti-sezione interni. Da ciò si deducono importanti informazioni relative soprattutto a quelle parti che sono ora crollate (l’angolo nord, la parete interna dell’ala sud-ovest) ed all’assetto della chiesa, all’epoca ancora non alterato. Ultime tappe della decadenza sono rappresentate dalla soppressione delle cappellanie di Santa Barbara e Santo Stefano (1919) e dall’occupazione abusiva del fabbricato avvenuta dal dopoguerra ai tempi odierni.
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I ruderi del castello